Lumos sbarca negli USA: l’appello di J.K. Rowling per la tutela degli orfani

Un altro capitolo importante della vita di J.K. Rowling si è appena aperto: la scrittrice di Harry Potter ha infatti lanciato un appello per la tutela degli orfani portando LUMOS negli Stati Uniti.

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Era il 2005 quando J.K. Rowling decise di fondare un’organizzazione non-profit per porre fine all’istituzionalizzazione sistematica dei bambini in tutta Europa, e per assicurare loro soluzioni abitative più sicure e umane portando un po’ di luce nelle loro vite. Non è un caso che tale organizzazione abbia preso il nome di LUMOS.

Adesso la scrittrice ha deciso di fare un altro grosso passo in avanti, portando LUMOS negli Stati Uniti. Due giorni fa ha infatti partecipato a una conferenza stampa a New York dove ha parlato dei motivi che l’hanno spinta a fondare e a diffondere la risonanza della società benefica. “Per citare Albus Silente – cosa che mi è permesso fare – la felicità la si può trovare anche nei luoghi più tenebrosi, se solo uno si ricorda di accendere la luce“. E ha poi contribuito a illuminare l’iconico Empire State Building con i colori del logo di LUMOS.

Poco dopo, l’autrice ha deciso di condividere con la stampa un commovente messaggio e appello che vi proponiamo tradotto integralmente qui di seguito (vi preghiamo di riprodurlo altrove solo in parte, linkando poi alla fonte).

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Il successo dei libri di Harry Potter mi ha portato a vivere esperienze che non avrei immaginato neanche nei miei sogni più audaci. Se qualcuno, venti anni fa, mi avesse detto che un giorno avrei messo piede nello Studio Ovale, probabilmente gli avrei suggerito di cambiare spacciatore, e l’incredulità non sarebbe stata inferiore se questo qualcuno avesse profetizzato una mia visita a Buckingham Palace, al numero 10 di Downing Street o su di una finta collinetta nel bel mezzo della cerimonia d’apertura delle Olimpiadi del 2012. Eppure ho davvero visitato questi posti e quei momenti rimangono impressi nella mia memoria come fotogrammi di un film, come se appartenessero a qualcun altro.empire

Negli ultimi diciotto anni ho anche avuto l’occasione di parlare con migliaia di bambini durante i festival letterari, nelle scuole, negli ospedali, nelle librerie, durante le premiere e mentre facevo shopping. Quasi tutti questi incontri sono stati felici; eppure non tutte le interazioni sono preservate come immagini gioiose nella mia memoria. Alcune mi tormentano, perché le sensazioni di impotenza e insoddisfazione che le hanno accompagnate tornano a farsi sentire a ogni loro reminiscenza; proprio come in questo preciso momento.

Quando per la prima volta ho fatto visita a un orfanotrofio al di fuori del Regno Unito, non pensavo che l’esperienza mi avrebbe turbata; o quantomeno non per il personale dell’edificio. La responsabile della struttura era radiosa mentre i bambini di tre anni ronzavano intorno a questa stramba visitatrice, cercando in tutti i modi di attrarne l’attenzione. Quei bambini non avevano la più pallida idea di chi fosse Harry Potter, né gli interessava saperlo. Tutto ciò che desideravano era una dimostrazione d’affetto. Il fatto che non parlassimo la stessa lingua sembrò non scoraggiare minimamente la piccola bambina dalla testa rasata. Gattonò fino a raggiungere il mio grembo, guardò in alto e il suo viso si illuminò. Non so quanti di voi siano mai stati avvinghiati tra le braccia di un bimbetto sconosciuto il cui unico desiderio è che, semplicemente, lo portiate via con voi. Se vi è successo, probabilmente capirete cosa ho provato a dovermi liberare dalla presa e andarmene. Mentre fingevo di ascoltare l’assistente vestita di bianco che camminava al mio fianco, mi sono tornate alla mente le sconvolgenti statistiche sul traffico di bambini che si registra in questi istituti. Quella piccina di tre anni si sarebbe avvinghiata a chiunque in cambio di un sorriso e un abbraccio.

Altro giorno, altro istituto. Sono stata condotta in una stanza piena di bambini completamente ammutoliti. Hanno imparato che il pianto non porta consolazione e la totale assenza di interesse che dimostrano nei confronti del contatto visivo è a dir poco angosciosa. Il fotografo mi ha chiesto di sorridere. Avrei voluto piangere.

I ricordi peggiori, però, li riconduco alla casa per bambini, fredda e immensa, dell’Europa dell’est dove ebbi modo di visitare tre bimbetti affetti da gravi paralisi cerebrali che erano costretti a condividere un unico letto. Erano alimentati per mezzo di una sonda gastrica, lavati di tanto in tanto e, per il resto, completamente ignorati. Un’infermiera mi confidò che un’altra bambina disabile di cui si prendeva cura non faceva altro che cercare la sua mamma. Quando le sue implorazioni superavano un certo limite, l’infermiera era solita allontanarsi dalla stanza, telefonare al reparto e, fingendo di essere la madre, affermare che le sue visite sarebbero state controproducenti se la bambina avesse continuato a supplicare di vederla.

I nomi ‘orfanotrofio’ e ‘casa di cura’, tuttavia, non sempre sembrano portare alla mente immagini sgradevoli. Molte persone donano soldi spontaneamente nella convinzione che i bambini che abitano determinati istituti siano stati salvati da una vita a stento degna di essere vissuta. Ebbene, dopo essermi confrontata con esperti del settore e documentata a fondo per dieci anni posso affermare che questa convinzione si basa sulla mancanza di conoscenza delle reali conseguenze che l’istituzionalizzazione ha sui bambini, nonché delle vere ragioni che spingono i bambini fin dentro le case di cura.

L’80% dei bambini che vivono negli orfanotrofi e negli istituti di tutto il mondo non sono orfani. Hanno almeno un genitore e, nella maggior parte dei casi, quel genitore vorrebbe occuparsi personalmente di loro. Per noi, fortunati abbastanza da essere cresciuti nel privilegiato Primo Mondo, è difficile immaginare una situazione in cui un genitore ceda volontariamente un figlio alle cure di un istituto. Diamo ormai per scontato il sistema sanitario e di servizi sociali che supporta l’accudimento domestico dei bambini. Gli istituti nascono dall’assenza di simili sistemi, in quei luoghi fatti di discriminazione culturale nei confronti della disabilità, quei luoghi in cui i conflitti e i disastri hanno annientato i mezzi di sostentamento e, soprattutto, quei luoghi in cui la povertà dei genitori è così acuta da convincerli che l’unico modo per non far morire di fame i loro bambini sia affidarli a un istituto di cura.

Dieci anni fa, dopo quelle prime, terribili esperienze negli orfanotrofi, sono entrata in contatto con alcuni esperti nel campo della deistituzionalizzazione. Da questi incontri è nata Lumos, un’organizzazione internazionale no profit volta a spingere i paesi a rivedere i propri sistemi di cura e protezione degli infanti. L’obiettivo è quindi quello di scoraggiare la costruzione di orfanotrofi e, al contrario, promuovere strutture che aiutino le famiglie a rimanere unite.

È stato dimostrato che il rapporto d’amore genitoriale aiuta il bambino a rafforzare le reti di connessioni neuronali, di fatto fortificando il sistema cerebrale nel complesso. Gli scanning del cervello dimostrano abissali differenze tra i bambini cresciuti con le cure e l’amore diretto di un adulto e i bambini che invece non hanno avuto un simile privilegio. Uno dei principali fallimenti degli orfanotrofi è che la gestione delle turnazioni e l’inadatta proporzione tra adulti e bambini non riescono ad assicurare quella dedizione ravvicinata e protratta nel tempo di cui i bambini hanno bisogno per crescere e sbocciare. I bambini istituzionalizzati si ammalano più frequentemente degli altri e sono maggiormente esposti al rischio di sviluppare malattie mentali e forme di invalidità. Da adulti saranno più propensi a fare uso di droga, alla prostituzione e al suicidio rispetto a persone cresciute in un contesto familiare.lumos

Condannati e stigmatizzati, questi individui finiscono con l’essere un onere gravoso e senza fine sull’economia della società. E tutto ciò è ancora più assurdo se si pensa che l’istituzionalizzazione è, di per sé, molto dispendiosa. Sarebbe molto più vantaggioso, a livello economico, sviluppare servizi di affidamento e di adozione e sistemi comunitari di salute e benessere. Eppure gli orfanotrofi spesso rappresentano fattori di attrazione per quei finanziamenti, spesso provenienti dall’estero, che non fanno altro che aumentare la pressione sociale per far sì che le famiglie cedano i propri figli. Inoltre, in alcuni casi l’interesse a mantenere aperti questi istituti può anche provenire dall’alto; ovvero da dirigenti e impiegati che non vogliono perdere il proprio lavoro e i propri mezzi di sostentamento.

La buona notizia è che tutto questo si può risolvere. Lumos ha lavorato per 10 anni in quei paesi europei in cui l’istituzionalizzazione dei bambini era una problematica urgente, soprattutto nei paesi che hanno vissuto il comunismo. L’intento di Lumos è mantenere in servizio gli impiegati di questi istituti, ma rendendoli collaboratori sanitari e sociali per la comunità intera. Gli istituti stessi potrebbero diventare strutture volte a fornire servizi utili alla società. In tutto ciò, è stato raggiunto un incoraggiante punto di svolta: la maggior parte di questi paesi si stanno impegnando per porre fine all’istituzionalizzazione. Inoltre, gli Stati Uniti e l’Unione Europea sono in prima linea per cambiare il modo in cui l’assistenza viene fornita al di fuori dei rispettivi paesi, spostando l’attenzione sul supporto alla famiglia e sulla sua protezione.

C’è però ancora molto lavoro da fare. L’Organizzazione delle Nazioni Unite sta attualmente lavorando a una serie di nuovi ‘Obiettivi di Sviluppo Sostenibile’ post 2015, per far sì che ‘nessuno venga lasciato indietro’. La preoccupazione di Lumos, però, è che, sebbene le prime bozze dell’agenda siano ben focalizzate sull’importanza degli avvenimenti relativi alla tenera età, scarsa o nulla attenzione è posta sul ruolo chiave che i genitori svolgono nella crescita e nell’educazione dei bambini. Parallelamente, il numero di bambini istituzionalizzati negli orfanotrofi al di fuori dell’Europa continua a crescere drammaticamente. Lumos ha da poco cominciato a lavorare in America Latina e nell’area dei Caraibi. Abbiamo cominciato con Haiti, dove al momento circa 30.000 bambini vivono in orfanotrofi quasi esclusivamente privati. Anche qui abbiamo riscontrato che l’80% di questi non sono orfani e che a muovere il tutto è, di nuovo, la povertà.

Lumos ha un solo, semplice obiettivo: porre fine all’istituzionalizzazione dei bambini di tutto il mondo entro il 2050. È un obiettivo ambizioso, ma raggiungibile. È anche indispensabile: otto milioni di bambini in tutto il mondo stanno soffrendo silenziosamente sotto un sistema definito indifendibile dalle più autorevoli ricerche del settore. Questi bambini hanno bisogno di molto, molto di più. Hanno bisogno di una famiglia.

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A seguire, un video dall’evento e uno dall’intervento di J.K. Rowling al Today Show.

Valerio Fidenzi