Animali Fantastici: I Crimini di Grindelwald ci ricorda l’importanza delle nostre (mancate) scelte

«Non sono le nostre abilità che dimostrano chi siamo veramente», affermava Albus Silente nel finale di Harry Potter e la Camera dei Segreti. «Sono le nostre scelte».

Avevo tredici anni quando, seduto al cinema durante una sera d’inverno, cominciai a sondare le profondità della saggezza che, scaturita come un fiume in piena dalla penna di J.K. Rowling, si riversa dalla bocca di alcuni suoi personaggi. Ero troppo giovane, allora, per comprendere la portata morale e le implicazioni di una simile affermazione. Eppure, qualcosa mi ha suggerito che valeva la pena aspettare. Aspettare di crescere insieme alla saga e lasciare che il mondo di Harry Potter mi fornisse gli strumenti adatti per esplorarle appieno, quelle profondità.

Stacco. Salto in avanti di sedici anni e sette film. Lo scenario è cambiato. Io sono cambiato, ma ormai quel mondo e quel tipo di narrazione ho imparato a conoscerli come le mie tasche. Alla fine ci sono cresciuto davvero insieme alla saga e il bagaglio che mi ha lasciato continua a ispirarmi ancora oggi, che le implicazioni di quell’affermazione le comprendo fin troppo bene.

Animali Fantastici: I Crimini di Grindelwald, secondo episodio della nuova saga di J.K. Rowling e prequel di Harry Potter, gravita spesso attorno a quelle precise parole di Silente, quindi attorno alla ricerca di un’identità, di una forma di appartenenza e, in modo ancora più mirato, alla differenza tra ciò che siamo di nascita e ciò che, con le nostre scelte, finiamo per diventare. E sono proprio le scelte di molti personaggi, scelte di tipo sentimentale ma anche ideologico, a muovere gli ingranaggi del film.

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I Crimini di Grindelwald inizia con un’epica scena d’azione che vede come protagonista proprio Gellert Grindelwald. Il film precedente, Animali Fantastici e Dove Trovarli, si era concluso con la cattura del mago oscuro. Questo secondo film si apre con il suo sguardo glaciale e con il tentativo, da parte del Ministero, di trasferirlo da una prigione degli Stati Uniti a una del Regno Unito, un’occasione che Grindelwald non si lascia scappare per darsi alla fuga, tra sferzate di bacchette, thestral e i migliori espedienti dell’arsenale della Rowling.

Sapevo che il film si sarebbe aperto con questa sequenza e, nonostante dal trailer facesse ben sperare, ci avrei messo la mano sul fuoco che sarebbe stata la solita scena sbrigativa à-la Yates (vedi l’apertura del primo film) che alla fine non ti lascia nulla, se non una buona dose di perplessità stampata sul volto. Invece, l’apertura de I Crimini di Grindelwald è senza dubbio una delle migliori scene d’azione dell’intera saga di Harry Potter e pone le basi per un film che, al pari della sua overture, si rivela molto più organico di quanto mi aspettassi.

Dopo il brivido sulla schiena provocato dallo scorrere del titolo del film, che, come abbiamo imparato ad aspettarci, strizza inevitabilmente l’occhio a Harry Potter, siamo catapultati all’interno di quei familiari corridoi del Ministero della Magia inglese che, dopo il viaggio negli Stati Uniti del primo film, un po’ profumano di casa. Tra dettagli e una serie di primi piani forse eccessivamente enfatici (l’effetto soap opera fa cucù da dietro l’angolo), assistiamo all’atteso incontro tra un ritrovato Newt Scamander e la new entry Leta Lestrange, che scopriamo essere promessa sposa del fratello di Newt, Theseus.

Nonostante l’importanza dell’incontro (che era molto atteso, grazie al modo in cui il personaggio di Leta era stato introdotto nel film precedente), Newt ha delle faccende più urgenti da svolgere al Ministero: il suo permesso di compiere viaggi internazionali è stato revocato dopo i (mis)fatti del primo film e l’unico modo per riottenerlo, scoprirà, è accettare di entrare a far parte della squadra di Auror. Invito declinato. Non è quello il mondo a cui Newt sente di appartenere e, nella battaglia con Grindelwald che si staglia all’orizzonte, lui decide di non schierarsi, per il momento. Non è ciò a cui sente di appartenere, non è qualcosa che lo riguarda. Inevitabilmente, la sua mancata scelta porta a un peggioramento della situazione e il suo posto viene preso da un losco seguace di Grindelwald. Nelle vesti di sceneggiatrice, in questa scena la Rowling non solo ci ricorda, tra le righe, l’insegnamento di Silente, ma rincara la dose sbattendoci in faccia sin da subito le conseguenze di una mancata presa di posizione.

Con lo scorrere dei minuti e delle ambientazioni (USA, UK e Francia) ritroviamo alcuni volti noti, come Tina, Jacob, Queenie e Credence, e moltissime new entry, tra le quali citiamo il giovane Silente, Nagini, Nicolas Flamel e un folto gruppo di splendide creature magiche. La scacchiera si fa più grande che mai, le pedine prendono posizione e il film si configura sin da subito come una grande storia di spionaggio, rigorosamente all’inglese, rigorosamente anni Trenta; un genere in cui Yates, che per gli intrighi di potere ha sempre avuto un debole, si muove con sufficiente agilità (sufficiente da evitare i peggiori scivoloni registici dei film passati).

A sorreggere il tutto, a fare da colonna portante, è la solita straripante immaginazione di J.K. Rowling che, semmai ce ne fosse bisogno, ancora una volta dimostra non solo di non aver finito le idee, ma di riuscire ad assemblare storie sempre più dense e in grado di porre delle basi solidissime per il continuo della saga.

Purtroppo, schierare un numero così elevato di pedine in un unico film significa dover fare una scelta di priorità, con il risultato che alcuni personaggi risultano solo abbozzati, mentre altri riescono a ottenere una caratterizzazione davvero stratificata. Tra i primi rientrano, ahinoi, Nagini e Nicolas Flamel, due nomi di un certo rilievo in Harry Potter e dai quali, inutile nasconderlo, ci saremmo aspettati di più. Tuttavia, lo spettatore più paziente sarà in grado di apprezzare l’ampio respiro che caratterizza la storia de I Crimini di Grindelwald, che non mira nella maniera più assoluta ad essere un film autoconsistente, ma piuttosto uno snodo particolarmente importante nell’ambito di una storia ben più ampia. Alla seconda categoria, ovvero ai personaggi più stratificati, appartengono sicuramente Leta, Silente, Grindelwald e Credence, oltre naturalmente al quartetto di protagonisti, che assume nuove sfaccettature.

Seppur meno weirdo rispetto al primo film, Newt rimane un protagonista assolutamente anticonvenzionale, immortalato nel bel mezzo di un viaggio verso l’esterno e verso la consapevolezza dell’impatto che le azioni (o mancate azioni) possono avere sulla società, proprio come le parole. Parallelamente, Tina si muove sulle tracce di Credence, mentre Jacob e Queenie sono coinvolti in una tormentata storia d’amore a cui le leggi sulla segretezza del mondo magico tarpano le ali. E a proposito di scelte, è proprio Queenie ad avere l’onore di aggiungere una variabile assolutamente non scontata nella dicotomia tra agire e non agire, tra il giusto e il facile: la possibilità, pur inseguendo principi sani, di commettere azioni sbagliate.

Su questa stessa lunghezza d’onda si pone Grindelwald, un cattivo, oserei dire, forse persino più affascinante del Voldemort di Harry Potter. Voldemort è disumano, incarnazione del male puro, di qualcosa che, come dice Silente, è ben «al di là delle nostre possibilità di aiuto». Quando il reparto make-up ed effetti speciali dovette decidere l’aspetto da dare a Ralph Fiennes per interpretare Voldemort nel quarto film, i creatori della pellicola decisero di discostarsi dalle descrizioni del libro e rinunciare agli occhi rossi, perché convinti che un simile elemento avrebbe tolto umanità al personaggio. Pur essendosi dimostrata vincente, soprattutto nei confronti delle straordinarie performance di Fiennes, la scelta poco ha impattato sulla natura del personaggio che, occhi rossi o no, di umano ha ben poco. Non solo: pur essendo ben caratterizzato nel sesto libro, Voldemort rimane inevitabilmente un cattivo che non aggiunge molto alla narrazione fantastica del male, appiattita sulle immagini, più o meno stereotipate, dei gerarchi nazisti.

Grindelwald è un cattivo completamente diverso. Più umano, innanzitutto, e proprio per questo più in grado di coglierci alla sprovvista con le sue ideologie che, come sappiamo e come vediamo nello specchio delle brame, per un po’ anche Silente ha condiviso. Non stupisce, quindi, che in più di un’occasione ci si ritrovi ammaliati dalle sue doti oratorie e non stupisce che molti personaggi, anche i più inaspettati, finiscano con lo sposare la sua causa. Grindelwald è un manipolatore, e soprattutto un manipolatore vecchia maniera, che in questo film continua nel suo tentativo di guadagnarsi la fiducia (o meglio il potere distruttivo) dell’obscuriale Credence, a sua volta disposto a qualsiasi cosa pur di colmare quel vuoto identitario che lo tormenta e completare il puzzle della sua esistenza.

Anche dal punto di vista attoriale il secondo episodio di Animali Fantastici fa dei passi in avanti rispetto al primo film. Tra un Eddie Redmayne più a suo agio nei panni del magizoologo, una Katherine Waterston meno rigida (nel primo film sembrava avere la sindrome che Emma Watson ha avuto per praticamente tutti e otto i film di Harry Potter) e la performance perfettamente a fuoco di Johnny Depp, l’unico tasto dolente (maledette aspettative!) sembra essere Jude Law, che se la cava bene quando deve sfoggiare il senso dell’umorismo tipico di Silente ma purtroppo risulta vagamente inespressivo nei momenti più intensi. Forse mi aspettavo troppo, forse speravo di ritrovare un’intensità che il personaggio non ha ancora maturato, ma alcuni dei momenti fondamentali della sua vita sono già alle spalle e il trasporto emotivo nella scena in cui ricorda la sorella Ariana o quando osserva un’importantissima ampolla non è neanche sufficiente. Peccato.

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In ogni caso, far visita a un giovane Silente significa anche avere l’occasione di tornare, finalmente, a Hogwarts, pronta ad accoglierci nuovamente a casa. Paesaggi scozzesi, corridoi gotici, l’aula di difesa contro le arti oscure, la Professoressa McGranitt, la sala grande e l’Hedwig’s theme non mancheranno di inumidirvi gli occhi. Complice la travolgente ondata di emozioni, la scena a Hogwarts è uno dei momenti memorabili del film, ma è anche e soprattutto il momento in cui iniziamo a esplorare il passato di Leta Lestrange. Un po’ come il Professor Lupin ai tempi del terzo film, Leta ci pone nuovamente davanti alla difficile prova di interpretare il significato di un molliccio; prova stavolta incomprensibile fino al colpo di scena finale, momento in cui il suo personaggio si ricava lo spazio che merita uscendone come uno dei più riusciti della pellicola.

Nel complesso, un ultimo grande valore aggiunto viene apportato dal compositore James Newton Howard che, dopo le prove di John Williams, Patrick Doyle, Nicolas Cooper e Alexandre Desplat, riesce a centrare perfettamente il mood potteriano con dei cori à-la Danny Elfman che richiamano il lavoro fatto da Desplat e danno una marcia in più a molte delle scene più intense.

In definitiva, Animali Fantastici: I Crimini di Grindelwald è un’opera sicuramente più organica (e più dirompente) rispetto all’episodio precedente; un film in cui David Yates dimostra finalmente (dopo cinque film) di essersi adattato molto bene all’universo della Rowling, riuscendo a evitare i pessimi scivoloni registici che l’hanno sempre accompagnato; un film che, senza girarci troppo intorno, vola dritto dritto sul podio delle migliori proposizioni cinematografiche del magico mondo di Harry Potter.

Ma Animali Fantastici è soprattutto (cosa più importante di tutte) il film di cui abbiamo bisogno in questo momento. Un film scaturito dalla penna di chi di lotte morali e ideologiche ne ha masticate a sufficienza e ora ci invita ad assumere un ruolo nella società, a fare la nostra parte, a scegliere e a schierarci di fronte alle ingiustizie. Un film che, più di ogni altra cosa, è un monito agli ignavi e a chiunque si renda colpevole di non aver risposto al richiamo della coscienza.